Intervista a Fausto
Amelii*
Tradizione gastronomica
familiare / Radici
Per
me il cibo ha due dimensioni: una legata al sapere quotidiano,
concreto – la tradizione culinaria che mi è stata trasmessa
essenzialmente da mia madre -, l'altra più culturale, legata al mio
percorso di studi, quindi una dimensione che ha a che fare con me
come intellettuale, studioso della storia culturale che è anche una
storia del cibo – basti pensare a tutto quel filone della
storiografia, particolarmente francese, come con Le Goff, che
attraverso la storia del cibo ha fatto Storia con la "A"
maiuscola, storia culturale.
La
prima dimensione, quella concreta, è legata – come dicevo – con
la tradizione gastronomica della mia famiglia, una famiglia contadina
di una zona particolare dell'Abruzzo – Teramo – dove c'è stata
e c'è ancora una forte identità legata al cibo. Le tradizioni
culinarie di questa zona infatti si distinguono fortemente –
attraverso ricette che potremmo anche definire "strane" o
"curiose" – dalla tradizione culinaria non solo italiana
ma anche delle zone limitrofe.
Come
dicevo queste tradizione culinaria mi è stata trasmessa da mia
madre, riconosciuta da tutti come una grande cuoca, non certo per una
qualche forma di "professionalità" – aver frequentato
una scuola specifica, ad esempio –, ma per un sapere che aveva
accumulato con la pratica viva del cucinare: veniva chiamata a
cucinare nei matrimoni ed era solita preparare pranzi anche per 20-30
persone, cosa normale in una famiglia contadina di stampo
patriarcale.
Anche
mio padre – oggi 85enne – è stato ed è un grande cuoco, cosa
abbastanza rara – in un certo contesto culturale – per un uomo.
In realtà anche mio nonno – che per la divisione dei ruoli vigenti
all'epoca -, non cucinava, era nei giorni di festa il padrone del
forno dove si arrostiva la carne ed altre pietanze. Da qui la mia
passione e attenzione al cibo, ad una tradizione popolare – cucina
povera, contadina, legata alla terra - ma insieme raffinata
La
storia "gastronomica" della mia famiglia – contadina,
italiana, contemporanea – illumina la storia della fine del mondo
contadino, dell'inurbamento, dell'emigrazione. Questa tradizione è
una storia non scritta della storia italiana, perché al storia del
cibo è anche storia della fame, del lavoro. Da qui l'importanza per
me di questo progetto: capire non tanto – attraverso i cibi delle
origini – il nostro passato, le origini (aspetto importante nella
costruzione identitaria), ma illuminare il presente.
Tradizione gastronomica
familiare / Infanzia
Ho
cominciato a cucinare a vent'anni, quando come studente mi sono
trasferito a Bologna, poiché non c'era più la mamma che poteva
farlo per me. Ed è stato così, cucinando, che ho cominciato a
sviluppare "memoria" e "sapere" sul cibo della
mia infanzia.
Una
cucina povera, legata alla terra. Molti legumi, soprattutto i fagioli
(piatto tipico erano i fagioli
assoluti, cioè cucinati
soli, senza pasta) e alcuni legumi e cereali che oggi sono quasi
spariti dalla cucina di quei luoghi poiché non si coltivano più,
come il farro
e la cicerchia.
Molte erbe spontanee,
ad esempio un'erba infestante di cui non ricordo più il nome,
un'erba che si mangia sia cruda – nelle insalate – che cotta, in
una minestra che mia nonna cucinava con arte. O le varie minestre di
verdure e ortaggi come la ciambotta.
Poca
carne, che tornava prepotentemente solo nelle feste oppure nel rito
dela macellazione del maiale, di cui si utilizzava tutto, anche il
sangue con il quale si preparava il sanguinaccio,
che però in Abruzzo non è dolce come in altre parti d'Italia, ma
salato.
Tra
i mie ricordi più forti legati all'infanzia, ci sono dei cibi
curiosi come la pizza
di rantinia,
fatta con il mais, posta nel coppo (un coperchio di ferro con bordi
rialzati) e poi cotta nel forno a legna, ricoprendo il coppo con
della brace. Viene chiamata anche pizza
al coppo, ed è
una parente lontana della polenta. Altra ricetta tradizionale è
quella degli spaghetti
alla chitarra,
piatto tipico della cucina teramana.
Cambiamenti tradizione
gastronomica familiare intervenuti nel tempo
Oltre
il minor uso, come dicevamo, di alcuni legumi o cereali che oggi non
si coltivano quasi più – come il farro e la cicerchia – e che da
cibo contadino sono divenuti piatti ricercati, che troviamo da
acquistare solo in negozi particolare, di prodotti tipici, uno dei
cambiamenti fondamentali è stata la sostituzione della pasta fresca
– fatta in casa – con la pasta
secca acquistata in negozio.
Un tempo la pasta secca era considerata "per ricchi",
mentre quella fatta in casa poiché si faceva tutti i giorni era una
cosa da poveri. Tutto il contrario di quello che avviene oggi.
Altro
grande cambiamento riguarda l'arrivo
sul mercato del parmigiano
che in molte ricette ha sostituito il pecorino tradizionale, questa è
al vittoria della grande distribuzione sui prodotti locali, contadini.
Anche
la ritualità collegata all'uccisione del maiale è quasi del tutto
scomparsa oggi
Riti gastronomici /
Festività religiose, feste ed occasioni speciali
Se
la cucina di tutti i giorni era una cucina che con i parametri
odierni definiamo povera, la cucina delle feste era ricchissima.
Soprattutto la carne
– ad esclusione del bue – pollame ma soprattutto agnello. La
maniera tradizionale prevedeva la cottura alla brace, con l'aggiunta
di solo sale. Qui similitudini con il metodo di cottura dell'agnello
nella cucina araba, similitudine che ritorna anche con gli
arrosticini di carne
– che un tempo era un cibo cucinato e mangiato per strada -, molto
simile agli spiedini di carne preparati da Rafia a Zonarelli durante
la festa comunitaria per la celebrazione dell'Aid. Un altro tipo di
arrosticini erano fatti con le interiora, le mozzarelle
(budellini e interiora avvolte in foglia di lattuga).
Il
piatto fondamentale delle feste era la zuppa
delle feste, una sorta
di zuppa imperiale. In un brodo di carne (gallina) vengono messe a
cuocere delle frittelline fatte con acqua, pecorino dolce e uova. Dopodiché nel brodo bollente viene messa una stracciatella di uova e
cicoria. Tra i primi, un altro piatto fondamentale delle feste è il
timballo di strippelle,
una specie di lasagna fatta mettendo in una teglia, a strati, delle
piccole crepes accompagnate da polpettine di carne minuscole, fettine
di scamorza, latte e uova.
Un
posto importantissimo nelle festività religiose e nelle feste avevano
i dolci.
Il
dolce tipico di Natale era rappresentato dai calcionetti
(o calzonetti), una sorta di raviolo fritto fatto con una sfoglia
ottenuta impastando farina e vino bianco e un ripieno di passato di
ceci, cioccolata, marmellata d'uva, mosto cotto e mandorle tritate.
Dopo la frittura venivano cosparsi di zucchero. Nelle zone di
montagna al passato di ceci si sostituiva quello di castagne. Oggi
non li prepara quasi più nessuno, am si acquistano in pasticceria.
Altro dolce natalizio i turcinelli,
dei dolcetti fritti fatti con un impasto di patate e uova.
A
Carnevale le zeppole di San
Giuseppe.
A
Pasqua invece era tradizione regalare alle bambine la pupa
e ai bambini il cavallo.
Erano fatti dando la forma di una bambolina e di un cavallo alla
pasta di ciambella, con un uovo (intero) nella pancia. Era un rito
che i bambini aspettavano con gioia.
Per
i matrimoni, ma anche nei battesimi, era consuetudine, la torta
degli sposi, detta anche
pizza dolce,
una sorta di zuppa inglese.
Vi
erano poi anche dei dolci o cibi legati a momenti particolari della
vita contadina, come i biscottoni, che si preparavano per la
trebbiatura. Era infatti consuetudine, nella tradizione contadina,
che durante momenti particolarmente impegnativi quali la trebbiatura
o la vendemmia, i vicini o i conoscenti – a loro volta contadini –
venissero a dare una mano. A queste persone si offriva la colazione,
il pranzo e la cena ma anche le due merende, quella mattutina e quella pomeridiana. Le merende erano appunto rappresentate dai
biscottoni.
Un
altro cibo particolare, ceh si preparava solo in determinate
occasioni, era il fiadone, un piattoc eh possiamo definire da
viaggio. Si preparava infatti per chi doveva intraprendere un
viaggio, andare in un paese vicino per una fiera, ad esempio. Era una
sorta di torta salata fatta al forno con uova, formaggio pecorino e
pepe.
Altro
cibo strettamente legato all'idea di festa – non ad una festività,
ma come festa in sé – era il pane, il rituale legato al fare il
pane in casa – credo con la pasta madre – , alla cottura in
forno. Mentre il pane veniva cotto tutti coloro che arrivavano nei
pressi dovevano dire "San Martino!", altrimenti il pane
veniva male.
Lo
stesso si può dire per l'uccisione del maiale o per la preparazione
estiva della salsa di pomodoro, vere feste rituali, e in quanto riti
accompagnate anche da tabù e divieti. Ad esempio le donne, nel
periodo delle mestruazioni, non potevano fare la salsa, altrimenti
questa andava a male. Significativo di una certa cultura è che ho
appreso questo particolare solo da adulto.
Similitudini
tradizione gastronomica teramana con cucina mediterraneo
(Nord-Africa)
Indubbiamente
l'uso della carne d'agnello, non solo – come abbiamo visto – per
i metodi di cottura, ma anche per la tecnica di macellazione, che era
halal senza saperlo. .
Cambiamenti/contaminazioni
cucina familiare con esperienza migratoria
Indubbiamente
anche se ho portato con me, arrivando a Bologna negli anni Settanta,
il bagaglio di esperienza e sapere gastronomico del mio luogo
d'origine e contesto familiare – bagaglio non solo metaforico ma
anche reale poiché ogni volta che rientravo dai miei viaggi in
Abruzzo portavo con me, in valigia, dei prodotti, dei cibi –
questo ha subito delle contaminazioni.
Non sempre era facile trovare quello che mi occorreva per cucinare qui dei piatti teramani. Forse in quegli ani era più difficile di quanto lo sia oggi, non esistevano negozi di prodotti tipici. Era molto difficile ad esempio trovare alcune spezie come la maggiorana, molto usata nella cucina teramana.
Non sempre era facile trovare quello che mi occorreva per cucinare qui dei piatti teramani. Forse in quegli ani era più difficile di quanto lo sia oggi, non esistevano negozi di prodotti tipici. Era molto difficile ad esempio trovare alcune spezie come la maggiorana, molto usata nella cucina teramana.
Anche
la pasta di grano
duro era una cosa che non esisteva a Bologna, si trovava solo pasta
di grano tenero. Quello dei cambiamenti e delle contaminazioni con
l'esperienza migratoria è un aspetto importante, che andrebbe
approfondito insieme ai migranti. Speso riescono a fare delle cose
buonissime – inedite – utilizzando prodotti italiani nelle loro
ricette.
* Direttore Centro Interculturale Massimo Zonarelli. Intervista realizzata il 21 e 23 gennaio 2012 presso il Centro Zoanrelli, da Vincenza
Perilli. Zona origine intervistato:
Abruzzo (Teramo)
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