Pubblichiamo un articolo di Antonella Selva, dell'associazione Sopra i Ponti, sulla ricorrenza dell'Aid al Adha, la "festa del
sacrificio", che anche quest'anno sarà festeggiata al Centro Zonarelli, domenica 4 novembre a partire dalle 13, con un pranzo comunitario e, a seguire, una tavola rotonda e riflessioni per andare oltre al pregiudizio
Il 26 ottobre scorso si è celebrata la
ricorrenza islamica dell'Aid al Adha, la "festa del
sacrificio", durante la quale i musulmani di tutto il mondo
ricordano il sacrificio di Abramo (nella tradizione coranica riferito
al primogenito Ismaele, figlio della schiava Hagar e capostipite del
popolo arabo) macellando un montone o altro animale d'allevamento. Tutti i gesti agiti durante la festa,
che dura almeno tre giorni, seguono una precisa ritualità ancorata a
profondi significati religiosi e all'organizzazione di una società
originariamente contadina. A partire dall'atto della macellazione,
che avviene per mano del capofamiglia, durante il quale
un'invocazione a Dio per chiedere perdono ricorda che non è un atto
innocente. Subito dopo invece comincia la
ritualità "profana": l'intera famiglia si mobilita secondo
ruoli ben definiti per preparare quelli che in origine, in
un'economia della scarsità, dovevano essere i giorni
dell'abbondanza. Accanto al capofamiglia e agli altri
uomini di casa, affaccendati a scuoiare e svuotare la carcassa, le
donne si dedicano a trasformarla in buon cibo: per prima cosa si
occupano delle parti più deperibili, così fegato, cuore, rognoni e
perfino i polmoni (perché del montone - come del maiale nelle nostre
campagne - non si butta via nulla!) vengono rapidamente trasformate
in saporiti spiedini mentre in cucina una parte della trippa viene
lavata, bollita e stufata con olive, odori e pomodoro, un'altra parte
messa a seccare all'aria per conservarla e cuocerla col cuscus nei
periodi di magra, come la pelle che viene seccata per prepararla per
la concia. Più tardi, o il giorno dopo, sarà il turno della testa
ad essere cotta al vapore nella cuscusiera, mentre in forno rosola la
milza farcita con cipolle e altri profumi. Le parti più pregiate si cominciano a
cucinare nei giorni successivi, quando nelle città arabe (o almeno
in Marocco dove la tradizione è ancora profondamente sentita) si
diffonde dappertutto il profumo di grigliate e spiedini aromatizzati
col cumino che arrostiscono ad ogni angolo di strada e nelle case i
tajine non smettono di gorgogliare su stufe e bracieri. Perché la festa del sacrificio è una
ricorrenza profondamente comunitaria: nessun elemento della società
dev'essere lasciato solo. Il sacrificio è un comandamento a cui è
tenuta ogni famiglia musulmana che ne abbia la possibilità
economica, ma non ne deve godere in solitudine: infatti un terzo
della carne deve essere dato ai poveri e un altro terzo deve essere
consumato in convivialità con vicini e parenti e così la festa
diventa anche l'occasione in cui riconciliarsi dopo eventuali litigi
o controversie, quindi solo l'ultimo terzo rimane a rimpinguare la
dispensa della famiglia. La ricorrenza entra quindi a far parte
integrante del sistema di "welfare" tradizionale, potremmo
dire, costituito anche dal dettagliato sistema islamico di
tassazione, che parte da una visione comunitaria e organica del
sociale in cui ognuno deve prendersi cura della dimensione
collettiva. La festa aperta al pubblico che ogni
anno l'associazione Sopra i ponti propone all'interno del centro
Zonarelli di Bologna punta ad assolvere proprio a questa funzione,
offrendo a chi è solo, disoccupato o lontano dalla famiglia, un
momento di calore comunitario in cui rivivere la propria tradizione,
e alle tante famiglie musulmane che hanno compiuto il rito un modo
per assolvere alla funzione sociale a cui sono chiamate offrendo per
l'occasione parte del loro montone. Ma ogni anno l'evento si carica
anche di significati nuovi nella misura in cui, aprendo le porte al
pubblico locale, diventa un momento di conoscenza e scambio
interculturale
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